vittorio polito
giornalista pubblicista scrittore
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La ‘maresità’ e il linguaggio dialettale del mare   Giornaledipuglia.com 14 luglio 2019
Secondo Franz Falanga (1933-2018), architetto, musicista, insegnante, uomo di profonda cultura, già professore presso le Accademie di Belle Arti di Venezia e Bari, i francesi definiscono il neologismo ‘gioco di parole’, ed era dell’avviso che quando più è possibile manipolare una lingua tanto più essa è viva, vegeta e reattiva.
E così si è inventato il neologismo “maresità”, che ho utilizzato per dare il titolo al mio libro “Baresità e… maresità” (Levante, 2008).

La ragione di questa mia nota è motivata dalla utilità e dalla indispensabilità di conoscere il proprio dialetto (in questo caso il “barese”), per meglio comprendere terminologie e vocaboli più appropriati. È noto che il dialetto è una forma di linguaggio verbale più immediata e sofisticata, che rafforza il nostro linguaggio, facilitandone la comunicazione.
Nel presente caso viene in aiuto Carlo Scorcia con i suoi importanti ed interessanti volumi: «Saggio di nomenclatura popolare barese» e «Pesca nel “Mare di San Nicola”», che ha pensato bene di divulgare nell’anno 1967, il primo, e nell’anno 1974 il secondo. Una sorta di vocabolari scritti in dialetto barese, con traduzione e chiarimenti in italiano e, ove possibile, con i corrispondenti nomi originali in latino e greco dovuti al grande naturalista Linneo, insieme a curiosità e leggende.

Il volume «Pesca nel “Mare di San Nicola”», vuole essere uno stralcio aggiornato e largamente arricchito, della parte relativa alla pesca compreso nel citato «Saggio di nomenclatura popolare barese». Scorcia nel suo pregevole lavoro ha volutamente trascurato alcuni ittionimi, abbastanza comprensibili e privi di caratteristiche locali, come anche i neologismi dialettali derivanti dall’italiano.

L’autore ha fatto veramente un lavoro certosino. Infatti, per il secondo volume ha partecipato personalmente alla «ricerca orizzontale lunga otto chilometri delle coste baresi e con una verticale dalla zona di spruzzo fino a sei miglia in fuori, – avvalendosi – di anziani pescatori e di quei giovani che continuano la tradizione, senza disdegnare l’azione di efficace insegnamento da parte dei primi, anche se ora troppo pochi».

Scorcia, in sostanza, consiglia come amare i valori autentici della nostra Città, offrendo ai lettori il tesoro comune della nostra lingua, raccogliendo i termini dialettali di pesca, agricoltura e della caccia, colmando una lacuna che altri autori non erano riusciti a fare.
Dalle citate pubblicazioni, che vogliono essere un omaggio ai Baresi del tempo passato ed a quelli di oggi, ho scelto solo un campionario della nomenclatura, quella più comune e conosciuta, dedicata ai crostacei, ai pesci, ai molluschi, ai venti ed alle voci attinenti alla pesca nel “Mare di San Nicola”.

Il nome del “Pèsce Sambìtte” (Pesce Sampietro), ad esempio, il cui nome deriva da una leggenda legata a San Pietro, il quale, un giorno, costretto a pagare un balzello (che non aveva), prese dal mare un pesce, in bocca al quale trovò la moneta necessaria. Il fatto miracoloso avvenne, molto probabilmente, in alto mare, dimostrando che l’Apostolo doveva essere molto energico nella cattura. Il pesce San Pietro, proprio del Mediterraneo, porta da ciascun lato due macchie nere rotonde che, secondo la leggenda, rappresentano le impronte delle dita. I greci lo chiamano Pesce di Cristo, gli spagnoli Pesce San Martino.
Ed ecco un piccolo campionario di vocaboli del linguaggio dialettale del mare ripresi dai volumi di Scorcia:
- Abbenazzà – Abbonacciare, calmare.
- Acchiàte e Acchiàle – Occhiata - Oblata.
- Aghestenèdde – Agostinelle. Triglia novella del mese di agosto, che allo stato di avannotto viene venduta nel misto da mangiare crudo (la meròsche).
- Alìsce – Alice - Acciuga.
- Allìive – Allievo - Seppiolina.
- Aurate – Orata.
- Baccalà – Merluzzo secco.
- Bavètte– Brezza, Bavetta. Vento leggero che provoca sulla superficie del mare delle increspature senza schiuma.
- Bernate – “Borinata”, Borea estiva che dura più di tre giorni.
- Bocca d’òre – Bocca d’oro detta anche Vocca d’òre. Calà – Lasciare scendere in mare una rete, una palamite, una mazzera.
- Calamarìedde – Calamaro novello consumato crudo.
- Canestrèdde – Canestrella, dalla forma a canestra. Si mangia cruda.
- Cannelìicchie – Solea, cannolicchio.
- Capegnòre– Sarago rigato. Prelibato “pesce bianco” sia arrosto che lesso.
- Cavaddùzze de mare – Cavalluccio marino – Ippocampo.
- Cazze de rè – Pesce del re – Donzella – Zingarella.
- Cecàle de paranze – Cicala, Canocchie, Squille.
- Cecàla grecha – Uno dei crostacei più grandi del nostro mare. Raro, ha buone carni.
- Cèrne – Cernia gigante detta anche Sgòtte (a macchie biancastre).
- Ciambòtte – Miscuglio di pesci di scoglio per zuppa rossa, ricercato per preparare gustose zuppe o sughi per condire vermicelli.
- Ceffe – Cefalo – Muggine comune. Presente, in varie specie in tutto l’Adriatico.
- Cierre o cìrre – Tentacoli di polpo o di seppia. “Cirro”.
- Cozzapatèdde – Patella – Fissutella.
- Cozza gnòre – (Cozza Nera) – Mitili comuni. Si consuma soprattutto cruda.
- Cozze pelose– (Cozza pelosa) – Modiola pelosa. Consumata cruda e mai cotta.
- Cozze San Giàgheme – (Cozza San Giacomo). Oggi rarissima.
- Crùte o Ccrute – Crudo. Alicette, allievi, triglioline, gamberetti, polpi arricciati che si mangiano crudi.
- Dendate – Dentice. “Dentato”, dalla forte dentatura.
- Favugne – Vento caldo da mezzogiorno. Favonio con direzione diversa dal vero favonio italiano Scirocco con afa.
- Fragàgghje – Miscuglio di pesci di media grandezza pescati da pescherecci o paranze. Ottimo fritto.
- Fresckone – Vento pungente da nord-est con mare in burrasca.
- Gammarrìcchie – Granchietto corridore. Ottimo crudo e per esca.
- Gheggiòne – Ghiozzo. Ottimo soprattutto fritto.
- Ghelfane – Vento caldo e violento da sud-ovest. Pericolo per pescatori con barchette.
- Grènghe – Gronco. Ottimo in sugo di pomodoro per condire vermicelli.
- Gùssce – Pagello mormora. Mormora. Nome originato da guscio per la forma di questo ottimo pesce e, soprattutto, perché arrostito la pelle s’indurisce e vien via intera, proprio come fosse un guscio.

- Lutrìne – Pagello – Rossetto. Si consuma in zuppa bianca o in teglia con patate.
- ’Mbùsse – bagnato. ’Mbrèlle de mare – (ombrello di mare). Medusa.
- Magnòttue – Novellame di sècce (seppia), piccolo allieve.
- Malàndre – Apparato sanguigno del polpo che i baresi mangiano fritto. La parte più molle del polpo e dei molluschi in genere.
- Megnìitte – Piccoli pesci infarinati, fritti e conservati in aceto.
- Mènna de la sècce – Cordone delle uova della seppia a forma di limone. I pescatori lo chiamano mènne (mammella) distinguendola dal maschio che ha le alette laterali. Meròsche– Pesciolini e triglioline che si pescano ad Agosto, gustosissimi crudi.
- Mussce – Mussolo. Mollusco bivalve con carni nervose. Si mangia crudo o appena riscaldato per facilitare l’apertura delle valve. Ottimo, è uno dei bocconi più fragranti e appetitosi.
- Nosce de mare – Noce di mare biancastra. Ha buone carni e si consuma cruda o in zuppa mista rossa.
- Nosce reale – Conchiglia bivalve grigio-giallastra. Mostra la sua presenza chiudendo di scatto le valve e spruzzando un getto d’acqua. Ottima cruda o in zuppa rossa.
- ’Ndèrre-’ndèrre – terra terra, lungo la riva.
- ’Ngann’a màre – in riva al mare.
- ’Ngaramàte – incastrato, incagliato (proprio di amo o piombo della lenza).
- Ombrìne – Ombrina.
- Òstreche – Ostrica.
- Palàmìte – Palamita sarda. Tonno palamita.
- Parangare – Attrezzo da pesca dotato di braccioli o setali con ami del numero 17, adatto per pescare pesci di una certa mole.
- Paranzìidde – Miscuglio di piccoli pesci pescati da paranze, bilancelle, ecc.
- Pelose – Crostaceo decapodo, coperto di peli giallastri. Viene consumato soprattutto lesso.
- Pènna – Palombo comune. Squaliforme con pelle liscia. Buona se preparata in zuppa bianca.
- Pèsce sciàbbue – Spada argentina.
- Pezzecatrìsce– Rana pescatrice (o coda di rospo). Ottima in zuppa rossa.
- Pulparùle – Pescatore di polpi con barca munito di corde, oppure con la lusce nderra-nderra e un bastone con uncino per catturare il polpo.
- Pulpe de parànze – Polpo bianco (con una sola fila di ventose sui tentacoli). Pulpe de pète – Polpo di scoglio (scuro con due file di ventose sui tentacoli).
- Pulperìzze – Polpi ricci da consumare crudi.
- Quècce – Coccio.
- Ràsce – Razza.
- Ràsce petròse – Razza chiodata. Si mangia in zuppa bianca o fritta.
- Rizze de pennìte – Riccio di prateria (zona di alghe posidonie). Molto gustoso e appetitoso, da consumarsi rigorosamente crudo.
- Rumme – Rombo liscio o chiodato. Si consuma fritto o in zuppa bianca. Salìppece – Gamberetto delle rocce che vive sotto piccole pietre.
- Sàlpa – Salpa, pesce poco apprezzato.
- Scarpètte – Seppietta, piccoli di seppia.
- Sciàle – Caletta naturale o artificiale fornita di acqua “de Criste”, sorgiva, per addolcire le cozze nere.
- Sciriè o Ciriè – Donzella, girella.
- Sckume de mare – Avannotto di acciuga (alisce- a la nute), che sembra “schiuma di mare”. Si mangia cruda o fritta a poltiglia.
- Scorfe o scolfe de fùnne – Scorpena, scorpano, scorfano rosso.
- Scorfe o scolfe de pète o de scoglie – Scorpena o scorfano nero.
- Scrumme o sgombre – Sgombro, Maccarello.
- Sparasàlze – Trachino dragone.
- Spedecchià – Sgranare, staccare e dicesi anche del togliere le cozze dal giunco.
- Taratùffe – Somigliante per colore e forma al fungo tuburaceo. “Tartufo di mare” per il colore e il corpo tondeggiante. Ha aroma di alghe e di acido fenico.
- Trègghie de paranze – Triglia minore di alto mare.
- Trègghie de scoglie o de pete – Triglia maggiore, da consumarsi preferibilmente arrosto o “al cartoccio”.
- Uardachjazze – Sgombro bastardo. “Guarda-piazza”, nome dovuto al fatto di incontrare una lenta vendita e di fare rimanenza.
- Varcheceddàre – Pescatore che pesca con barchetta.
- Vopa – Grazioso pesce gregario. Fritto se piccolo o arrosto se più grande.
- Zanchètte de rène – Cianchetta di sabbia. Sogliola occhiuta.

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