vittorio polito
giornalista pubblicista scrittore
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Trieste, malati di mente e legge Basaglia,   Giornaledipuglia.com 6 ottobre 2019
La cronaca quasi quotidianamente riporta casi di delitti ad opera di insani di mente come il caso di qualche anno fa a Bari che registrò l’assassinio della dott.ssa Labriola.

Oggi si registra il grave fatto di Trieste che ha visto il duplice omicidio di due agenti della Polizia di Stato e riporta all’attenzione un altro disumano delitto, molto probabilmente imputabile a problemi psichici dell’assassino (schizofrenia?). Il grave fatto fa riemergere il problema degli insani di mente che circolano liberamente sul territorio.

La schizofrenia, che significa mente divisa, è una malattia neurologica che causa un grave disturbo psicotico: chi ne è affetto diventa del tutto indifferente a ciò che accade, reagisce in modo assurdo o incoerente agli eventi esterni, perde il contatto con la realtà e si isola in un mondo suo proprio, incomprensibile agli altri. A causa della sua caratteristica destrutturante della personalità, la schizofrenia compromette tutti gli aspetti della vita del soggetto, sconvolgendo profondamente la sua rete relazionale e, quindi, coinvolgendo anche il nucleo familiare. È innegabile che si tratti di un problema serio, ad ampia diffusione nella popolazione, e che a volte si può accompagnare a sentimenti quali scoraggiamento, senso di impotenza e rassegnazione, paura, isolamento, sia nelle persone direttamente coinvolte che nel contesto sociale più ampio.

Grazie alla legge 180/1978, cosiddetta Basaglia, che ha imposto la chiusura degli ospedali psichiatrici e non avendo provveduto alla istituzione delle case-alloggio, come previsto dalla stessa legge, ha di fatto contribuito notevolmente ad incrementare i delitti da parte di malati abbandonati al loro destino. Non passa giorno che la cronaca non riporti fatti di tale gravità. La predetta legge, infatti, non ha tenuto per nulla conto della precedente n. 36 del 1904, il cui principale obiettivo era la tutela della società e quindi la custodia negli ospedali psichiatrici di tutte le persone affette da malattie mentali. Il concetto di pericolosità del malato è stato completamente disatteso e capovolto dai politici e da qualche psichiatra che non hanno tenuto conto che la schizofrenia, ad esempio, è descritta nei trattati odierni esattamente come in quelli di parecchi decenni fa. Secondo Carlo Fiordaliso, della UIL-Sanità, rappresenta «la follia di trasfondere in una legge l’impostazione di una scuola, in maniera totale e rigida», ed il riferimento è a quella universitaria del Basaglia.

La legge 833/1978, istitutiva del servizio sanitario nazionale, recependo i presupposti della 180, prevedeva una nuova visione della malattia mentale come una normale malattia che escludeva tutele differenziali (?). La stessa Commissione del Senato che condusse l’indagine tra il 1996 e il 1997, affermava nella relazione conclusiva che il sondaggio ha dimostrato la perdurante incapacità e la mancanza di volontà di dare attenzione al modello di tutela della salute mentale che informava la legge 180.

Non parliamo poi dell’iter burocratico previsto per un ricovero coatto per tali soggetti, tra l’altro di soli 7 giorni rinnovabili. Il malato deve essere visitato dallo psichiatra che richiede il ricovero, quindi necessita il parere di un secondo psichiatra per la conferma della diagnosi, infine serve la convalida del provvedimento da parte del sindaco. Insomma “Aspìtte ciucce mì ca cresce l’erve” (aspetta ciuco mio che l’erba cresca), nel senso che l’erba non cresce da un giorno all’altro e quindi l’asino morirebbe di fame. Tutto ciò ogni volta che l’insano di mente, che non fa terapia, si mette nella condizione, abbastanza frequente, di aggredire o disturbare il prossimo con il suo comportamento schizoide (nel frattempo il delitto viene compiuto).

Il prof. Vittorino Andreoli, noto psichiatra, in una intervista a “Famiglia Cristiana” di qualche anno fa, ipotizzava «... la possibilità di avere in ogni regione delle piccolissime strutture che si occupino dei trattamenti prolungati: dei luoghi dove sia possibile tenere sotto controllo i casi più difficili per cinque, sei mesi”. Mentre il dott. Rocco Canosa, psichiatra barese, sosteneva in contrapposizione che «Il trattamento sanitario obbligatorio c’è già e può essere attuato nella fase critica». E nelle fasi intermedie cosa si fa, dal momento che il malato può rifiutare il trattamento e quindi il pericolo per gli altri è sempre incombente?

Certamente indietro non si può tornare, ma a distanza di oltre 40 anni le strutture alternative previste si contano sulle dita, per cui il pericolo dei malati di mente, continua a raggiungere picchi elevati. Sta di fatto che spesso questi soggetti compiono delitti di una ferocia unica, e poi con l’infermità mentale si salva il colpevole ed i giochi sono fatti.



Alla luce di quanto sopra, appare evidente che non siamo per nulla tutelati dalle competenti autorità sanitarie dalle improvvise ire di questi soggetti, come la cronaca quotidiana dimostra inequivocabilmente, per cui farebbero bene legislatori, medici, amministratori e soprattutto sindaci, ad adottare seri e definitivi provvedimenti nei confronti di certi malati di mente e verificare anche che tali soggetti, oltre a non essere muniti di armi e di autorizzazioni a detenerle, siano sottoposti a controlli e terapie psichiatriche obbligatorie e verificabili quotidianamente.
Solo così si potrà innalzare un’utile barriera a protezione dei cittadini.
O qualcuno ritiene che «è meglio un uomo sano in una bara che un insano di mente in ospedale psichiatrico» (?).


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